A chi scriviamo questa rabbia?
Non ho una particolare predilezione per la poesia italiana contemporanea (ne ho ancor meno per la narrativa, a dire il vero). Salvo pochi nomi. Tra questi sicuramente Alberto Masala, che di fatto è il “meno italiano” fra gli italiani. Masala infatti è poeta internazionale, non solo perché plurilingue (italiano, logudorese, francese e spagnolo), e neppure perché ha condiviso con una certa regolarità esperienze importanti con poeti come Jack Hirschman e Gregory Corso, è internazionale perché lo è intrinsecamente la sua poesia, i suoi versi che tendono all’espressione orale prima ancora che a quella scritta, e che quindi sono votati – per loro natura – all’incontro e al confronto. I versi che seguono sono a mio avviso tra i più belli che siano stati prodotti negli ultimi anni entro i nostri confini. Per averli nell’impaginazione originale ho scritto direttamente a Masala, qualche mese fa, e lui me li ha cortesemente concessi. Suggerisco di leggere questa poesia a voce alta, come se vi ritrovaste a raccontare una storia a un’amante nella calma di un letto a primavera, o come se nascondeste le parole sotto la lingua per presagirne la forma materiale e assorbirne il gusto. Parla dei detenuti. E di molto altro..
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Alberto Masala, PARLO DEI DETENUTI
a Rafael Cancel Miranda – ammanettato al muro – carcere di Marion
a Frank «Big Black» Smith – e tutti gli altri di Attica
a Sekou Odinga – posacenere dei suoi torturatori
a Alejandrina Torres – carcere di Phoenix, Arizona – violentata dal pugno del suo carceriere
a Susan Rosenberg – Lexington – luce ogni 20 minuti – mesi senza dormire
alle donne violate nel carcere statale della Georgia e in quello federale di Dublin
ai torturati nelle gabbie di Pelican Bay, Florence, Guantanamo, Abu Graib…
ai torturati di Bolzaneto – dell’Asinara – di tutte le questure e le galere
ai desaparecidos
ai condannati a morte
Parlo dei detenuti
del desiderio che racconta cicatrici
non mie non del mio corpo
parlo della mia gente
ora anche qui fa caldo
e volano altri corvi preannunciati
da una lingua crudele di menzogna
fra detriti e fantasmi di miseria violenta
ora anche qui fa caldo
e il nord che scivola più a nord
rende sud ogni nostro copione
mentre il sud resta fermo sotto il sole
portando il rischio di colori colpevoli di vita
è un fuoco ininterrotto
un’ipotesi umana decisiva
che sogna e rinnega i suoi sogni
viene verso l’Europa
di fronte alla tua comoda poltrona
al tuo telecomando occidentale
rapidamente sopraffatto imploso
in quel vortice interno della digestione
noi siamo eternità di dubbi
sopravvissuti controvento
passiamo come branco
tra due filosofiche colonne di pensiero feticcio e nichilismo
che imprigiona istinti antagonisti
nei suoi recinti di regolarità nell’ordine previsto
come animali pelle d’altri nemici
per non correre il rischio d’infezioni
e non compriamo mai abbastanza
io provengo dal mondo
l’angelo dimagrito ad occidente
già troppe volte senza un paradiso
soltanto resistenza
o saltare o restare
accettando svantaggi dai confini
esterni al nostro canto
porto ancora un accento che resiste all’uso
lo scrivo sopra la mia voce
questo dire imperfetto e mentre parlo
ogni parola cade sul dire precedente
come un sole che brucia infiammando di nausea letteraria
terre di siccità
plein soleil de mes rêves condamnés
à la mathématique des multiplications
dunque il cuore rivendica del ritmo
ancora sensazioni d’eresia
e si alimenta e trova le sue vene
si ripresenta appare ancora tigre
anarchico barlume anarchico respiro che non tace
anzi trasporta urlando la sua sfida
eterna rumorosa con finale assoluto
è il carico di vittime che porta bestemmiando
senti, poesia…
dico pesante questo volare alto con le ali impigliate
e senza sosta nell’incubo presente
su montagne di resti del superfluo
sazietà scarti umani spazzatura
immondezzai che la storia sistema
a chi scriviamo questa rabbia?
come potremo parlarvi più d’amore
se non sappiamo chiedere neanche
scusa ai bambini
non ho nemmeno un dio che benedica
l’ambizioso suicidio americano
in questa civiltà definitiva
urlante di razza superiore
dedico le radici ai fili d’erba
e il sesso inarrivato ai detenuti
ma in un senso più ampio di tutte le galere
e intanto scrivo sulle sbarre della gabbia
una speranza a scoppio ritardato
e se l’anima ha voglia di nominarne i dubbi
se le interessa… prenda…
31 maggio 2004
Nota: – in catalano nella raccolta Nit de la poesia 2004 (pagg. 29/118). Tarragona, E.: Arola Editors, 2005. presente sulle riviste: – TABARD. Anno I, n.1. gennaio 2006.– HORTUS MUSICUS. anno VI, N. 23. luglio-settembre 2005.
– on-line su el Ghibli. Tradotta anche in inglese, francese e arabo. E in un sacco di altri posti in rete… .
Alberto Masala è stato il primo poeta a leggere le mie poesie e a dire somessamente, quasi timidamente, “sono belle le tue poesie Marco”. Per me fu un emozione grandissima e da allora prendemmo a frequentarci quotidianamente. Ci chiamavano ironicamente ” I fidanzati” Considero Alberto uno dei più grandi poeti italiani. La sua poesia è sempre una lucidissima denuncia dei misfatti dell’imperialismo e del pensiero unico. La sua poesia è sempre schierata dalla parte degli oppressi e delle minoranze. Ma i sui versi sono anche sempre dotati di bellezza, di un ritmo naturale ineguagliabile. Alberto, giustamente, è avversario dei poeti dell'”IO” cioè di quel fare poesia, largamente diffuso, totalmente autoreferenziale. Ma mi piace ricordare anche che Alberto Masala è una mente fra le più straordinarie che si possano incontrare. Eppure nonostante questo ha accettato di vivere una vita sempre al limite della sopravvivenza, pur di conservare una totale autonomia e indipendenza. Una figura esemplare di uomo e di poeta, dalla quale non si finisce mai di imparare. Grazie Andrea, per averlo proposto e fatto conoscere su FB.
Naturalmente il consiglio di leggere i versi a voce alta l’ho riproposto dopo averlo accolto da te, caro Marco, cosa che io – colpevolmente – non faccio quasi mai. Ma in questa circostanza e in questa poesia in particolare, piena di pause grosse come respiri, mi sembrava davvero fondamentale.
Andrea e Autunno, grazie della vostra testimonianza, che colma spesso il desiderio di sapere e con-patire.
Non mi era mai capitato di “sentire” queste pause come respiri…
Caro Andrea
ti ringrazio sopreso, commosso, imbarazzato…
non so che dire
spero un giorno di conoscerti di persona
scrivimi privatamente, se vuoi, a
e sorpresa n.2
ti becco qui Marco!
è tutto vero quello che hai raccontato di noi… e mi ricordo tutto
sopratutto le innumerevoli sere passate nella tua osteria dove – ogni giorno- mi chiedevi discretamente e con tono sommesso:”hai mangiato?”
e, dato che mangiavo davvero poco e solo di tanto in tanto, posso affermare che praticamente in quel periodo tu mi hai mantenuto in vita con la tua utopia.
E, grazie a te e insieme a te, facevamo poesia tutti i giorni. come ci mancano quei giorni!
Grazie.
ORALITA’-SCRITTA.
QUESTO BINOMIO OSSIMORO DIPINGE BENE LA POESIA DI ALBERTO….
LA POESIA DI ALBERTO HA UNA STRAORDINARIA FORZA SONORA….
LA SONORITA’ DEI SUOI VERSI DIPINGE REALTA’ SPREGIUDICATE…. HA L’IMPETO DEL VERO ANCHE QUANDO E’ SOGNANTE…. HA LA NETTEZZA INIMITABILE DEI CONFINI SFUMATI….
E COSI ACCEDE ALL’UNIVERSALITA’.
LA SONORITA’ ….SEMPRE VIVA E MAI SOPITA…ANCHE QUANDO SCORSA MENTALMENTE…
TROVA RINNOVATO VIGORE NELL’ANIMA SONORA…
LE PAUSE NON SONO ASSENZA DI SONORITA’…MA SONANTI RESPIRI…….ANSIMANTI SOSPIRI…….
Alberto, sono io a ringraziare te. Per i tuoi versi (tutti), per la sorpresa che mi hai fatto passando di qui, per il pensiero sull’utopia salvifica di Marco e sulla poesia che “facevate tutti i giorni”.
Grazie anche a Maria per aver seguito il consiglio sul metodo di lettura.
E un ben trovato a Gianluca su queste sponde.
l’oralità scritta.
sicuramente spinta e veicolo per affermare Storia, la stessa che scorre nei meandri di quest’isola che non conosce il tempo.
grazie ad Albero Masala e a te, Andrea, per averloportato qui! 🙂
api
Grazie per questo post, caro Andrea. Grazie perché in questo scenario da deserto reale che ci tocca sopportare, leggere e ascoltare la poesia di Alberto rinfranca e restituisce una potenza che sgorga sorgiva. Così come ascoltarle a voce alta, sì; ho avuto la fortuna di conoscerlo questa estate e devo dire che ci ha offerto una serata intensa proporzionale alla sua persona (di viaggi, incontri e esperienze magnifiche). Alberto Masala non ama i salotti, è uno che ha scelto e ha pagato sulla propria pelle tutte le strade che ha intrapreso; per questo può dirsi certamente autentico; per questo quando in quella sera di agosto l’ho ascoltato commosso a leggere della mano esatta di suo padre che ha messo al mondo un figlio senza padroni, ho capito tutto; e ho capito soprattutto che la geneaologia non si inventa, la si riconosce.
(che poi su quella mano esatta un giorno scriverò qualcosa, a dire che è stata un’immagine imprevista che mi accompagna da allora con indicibile cura)
Un caro saluto,
Alessandra P.*
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