Sono andato a visitare una fattoria didattica insieme alla classe della scuola materna che frequenta mio figlio. Mentre ai bambini spiegavano come si fa la vendemmia, a noi adulti ci hanno portato nel museo della civiltà contadina. Il museo della civiltà contadina era composto da tre stanze. Nella prima stanza c’era un giogo e un aratro, l’uomo che faceva da guida ha voluto che due di noi, un uomo e una donna, mettessero la testa sotto il giogo e facessero la parte dei buoi. La guida ha voluto che a recitare la parte dei buoi fossero un uomo e una donna, perché così poteva spiegare meglio che la parola coniuge deriva dal latino jugum, che vuol dire giogo. Ha detto che il matrimonio è un giogo che unisce due bovini. Ha detto pure che i bovini, grazie al giogo, cioè al matrimonio, vanno nella stessa direzione. E ha concluso la sua impavida metafora dicendo che i bovini, cioè i coniugi, insieme dissodano un campo e lo rendono fertile. Nella seconda stanza c’era la riproduzione di una cucina contadina. La guida ha detto che negli anni Cinquanta lo Stato forniva le case coloniche di un forno, un lavandino di pietra e una dispensa. Quel tipo di forno, quel lavandino e quella dispensa, sono presenti nei miei ricordi d’infanzia; quel tipo di forno, quel lavandino e quella dispensa li ho visti tanti anni fa nella casa di campagna di qualche mia zia. E mi è sembrato strano che fossero esposti in un museo. Così ho pensato alle facce di quelli che fra cinquant’anni pagheranno un biglietto per visitare un museo dedicato alla civiltà dei consumi, alla guida che dice ai visitatori che la gente vissuta all’epoca della civiltà dei consumi comprava mobili Ikea.
2 ottobre 2013 a 08:36
Tempi duri. E quando il giogo si fa duro, si sa come finisce.
2 ottobre 2013 a 08:40
Tutti a zappare, si finisce.
2 ottobre 2013 a 08:46
fra cinquant’anni non ci sara` alcun museo. solo sabbia, vento, e disperazione.
2 ottobre 2013 a 20:20
Come si dice, “i gioghi sono fatti”.